Sabato 22 gennaio 2011, alle ore 16.00, si è tenuto a Roma presso il Polo Didattico di Piazza Oderico da Pordenone 3 (Via Cristoforo Colombo, altezza Regione Lazio) la conferenza “Italia e USA: da Jalta al multipolarismo”.
Sono intervenuti come relatori: Gianni De Michelis (presidente IPALMO, ex ministro degli Esteri), Tiberio Graziani (presidente dell’IsAG) e Stefano Vernole (redattore di “Eurasia”).
L’organizzazione è stata a cura di Istituto d’Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) e Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente (IPALMO).
Di seguito la cronaca dell’evento, redatta da Matteo Pistilli, ed il testo dell’intervento di Stefano Vernole.
LA CRONACA di Matteo Pistilli
Sabato 22 gennaio 2011, presso il Polo Didattico (Piazza Oderico da Pordenone) a Roma, si è svolto il seminario di Eurasia “Italia e Usa: da Jalta al Multipolarismo” organizzato dall’Istituto di Alti Studi di Geopolitica Isag (1) e dall’Istituto Ipalmo (2).
Sono intervenuti Tiberio Graziani Direttore della rivista Eurasia e Presidente dell’Isag, Gianni de Michelis Presidente Ipalmo nonché ex Ministro degli Esteri e Stefano Vernole redattore della rivista Eurasia.
Prendendo le mosse dal numero di Eurasia dedicato all’Italia “piccola grande potenza” (3), Tiberio Graziani ha richiamato l’importanza della lettura geopolitica nel delineare il futuro anche del nostro Paese. Quest’ultimo sebbene dal 1945 sia organico di un sistema “occidentale” -ma in un’accezione eminentemente politico/militare e rappresentato dalla NATO (la quale secondo Z. Brzezinski dovrebbe includere addirittura la propaggine più orientale del continente eurasiatico, ossia il Giappone)- deve per forza di cose evolvere la propria visione e smarcarsi da prassi troppo succubi, preparandosi al nuovo scenario aperto che contraddistingue le potenze emergenti capaci di cambiare l’ormai passato equilibrio unipolare a guida Usa. Anche l’esempio della vicinissima Turchia, sempre più interessata ad una politica di buon vicinato in contrasto con i desideri di Washington e Tel Aviv, evidenzia come i nuovi equilibri stiano modificando i rapporti di forza.
Stessa attenzione all’importanza del ri-orientamento della visione geopolitica, esprime l’Onorevole Gianni De Michelis che forte delle proposte avanzate negli anni (per esempio l’esagonale) e di un’attenzione particolare al dopo Jalta (“All’ombra di Jalta” titola un suo libro), segnala come dal 1945 ad oggi l’Italia sia stata interessata da decisioni prese da altri e sia stata costretta a svilupparsi solo nella direzione “atlantica” nord-occidentale, abbandonando le altre due naturali direzioni ossia quella nord-orientale e quella mediterranea; coloro che provarono a guardare al vicino-oriente come per esempio Mattei, Andreotti, Craxi, afferma De Michels, hanno dovuto subirne le conseguenze.
Tale mancanza di sovranità è propria della “logica di Jalta”, la quale l’Onorevole muovendosi da un punto di vista che definisce realista, considera positivamente; questo in quanto un’Italia collocata dalla “parte giusta” e nel “modo giusto” (ossia diversamente dalla Germania e forte di un ingresso immediato nelle istituzioni europee e per ciò avvantaggiata rispetto a Portogallo, Spagna e Grecia), poté, grazie all’accorta gestione della classe dirigente filo-americana della prima Repubblica, svilupparsi in maniera positiva per quelle condizioni.
La differenza con l’odierna situazione risiede proprio nella mancanza di capacità di lettura e di movimento che ha reso impossibile (dopo mani pulite) ri-orientare la visione strategica la quale dopo il crollo del bipolarismo, dopo l’11 settembre 2001 e la crisi economica scoppiata nel settembre 2008, deve fare i conti con un nuovo ordine mondiale (dopo quello coloniale); sarebbe stato necessario capire per tempo che gli interessi statunitensi ed europei sono molto diversi e sebbene con Maastricht si provò ad aggiustare la mira, afferma ancora De Michelis, sia i dirigenti europei che quelli americani (Bush, Clinton) non seppero cogliere la questione e ora fanno i conti con un mondo “troppo pesante” per loro.
La nuova situazione è quella rappresentata da nuove Potenze Emergenti (G20) di cui la Turchia è un ottimo esempio, specialmente per la vicinanza con noi e per l’importanza geografica che ricopre come ponte eurasiatico. Le possibili strade da intraprendere saranno due: scaricare i deboli e fare un’Europa ristretta, oppure in maniera più lungimirante, allargarsi verso est (Asia centrale) e sud (Mediterraneo e anche l’Iran) abbracciando quindi anche Ankara.
Ultimo intervento è stato quello di Stefano Vernole, che pur concordando sulle valutazioni e sui suggerimenti per il futuro espressi dall’Onorevole De Michelis, giudica in maniera meno positiva la situazione post 1945 che ha impedito all’Italia l’elaborazione di una dottrina geopolitica; questo ha comportato mancanza di identità nazionale (se non retorica) e mancanza di sviluppo geopolitico nei Balcani e nel Mediterraneo. Il minore Pil italiano rispetto a quello di Francia e Inghilterra durante la “guerra fredda” suggerisce che la situazione non sia stata così positiva per l’Italia ( e lo sviluppo avuto negli anni probabilmente bisogna attribuirlo alla presenza proprio di quella che dovrebbe essere la “parte sbagliata”, ossia l’Urss) soprattutto sommata alla mancanza di sovranità dovuta principalmente alla presenza delle basi militari Usa (più di 100, contenenti anche armi atomiche) regolate da norme segrete (in spregio al rispetto costituzionale); la non indipendenza pesa anche su altri campi, come l’economia, la ricerca scientifica con conseguente fuga di cervelli in direzione Usa, oppure un interessante esempio può essere il cinema neorealista italiano scomparso per non fare ombra ad Hollywood.
La posizione e situazione italiana, comportano la necessità di ottimi rapporti con Russia, Turchia, tutto il Mediterraneo , Iran, così come ci sono stati negli ultimi anni (con gli accordi Eni-Gazprom, gli annunci di vicinanza alla Russia di Berlusconi), ma che oggi vengono messi alle corde da una poco lungimirante e poco sovrana classe dirigente internazionale.
In definitiva i relatori del seminario concordano sull’importanza di un ri-orientamento geopolitico dell’Italia e dell’Europa con quest’ultima che, grazie alla possibilità di dialogare con Usa e Cina (afruttando anche una comunanza culturale eurasiatica con la seconda), grazie al know how dell’integrazione regionale messa in atto (che sarà il futuro, basti guardare l’America Indiolatina e l’Asia orientale) ed alla moneta unica, può riuscire a migliorare le prospettive del proprio futuro, proprio partendo da una cooperazione mediterranea messa alle strette dai progetti sponsorizzati negli ultimi anni da Washington e alleati poco lungimiranti.
2) http://www.ipalmo.com/
3) http://www.eurasia-rivista.org/5638/italia-150-anni-di-una-piccola-grande-potenza
L’INTERVENTO di Stefano Vernole
La sconfitta dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale e il suo riposizionamento all’interno del sistema occidentale a guida statunitense dopo il 1945 ha impedito, fino ad oggi, l’elaborazione di una propria dottrina geopolitica.
Alla subalternità alle scelte di Washington bisogna aggiungere la profonda crisi dell’identità nazionale e la scarsa cultura geopolitica delle classi dirigenti italiane.
Conseguenze inevitabili di questa situazione sono:
1) la mancanza di sovranità nei principali settori di intervento: militare, politica estera, economica, lotta alla criminalità.
2) Identità nazionale solo retorica ma oggi rilanciata in maniera propagandistica per favorire l’invio di militari nelle “missioni di pace americane” all’estero;
3) Mancato sviluppo delle direttrici geopolitiche italiane, nei Balcani e nel Mediterraneo.
Quali sono i possibili margini di manovra per l’Italia? Questi esistono oggi grazie alla conformazione di un nuovo ordine internazionale multipolare e al ridimensionamento del sistema egemonico occidentale.
I due principali perni geopolitici per l’Italia sono costituiti dalla Russia e dalla Turchia, con le quali si può raggiungere un’intesa sui comuni interessi nel Mar Mediterraneo, nel Mar Nero e nel Mar Caspio.
Raffronto popolazione – dati economici:
ITALIA: 60 milioni di abitanti, FRANCIA 62 milioni, GRAN BRETAGNA 61 milioni; la densità demografica italiana è eccessiva: 199 abitanti per kmq. Contro la media di 69 in Europa.
PIL per abitante: Italia circa 39.000 dollari, Francia 46.000, Gran Bretagna 44.000.
Percentuale di popolazione con laurea universitaria: 10,2% contro il 30% della media europea e il 40% di Francia e Gran Bretagna.
Percentuale del PIL destinato alla Difesa. 1,8%
Lingua italiana: perdita della sua importanza e minore conoscenza nella popolazione, a favore di un basic english.
Problema maggiore dell’Italia è la mancanza di Sovranità, inficiata da:
a) oltre 100 basi militari USA/NATO presenti sul proprio territorio (nessuna negli USA …);
b) presenza del Vaticano ma soprattutto della Chiesa cattolica (vedi ad es. riconoscimento di Slovenia e Croazia nel 1991);
c) cultura cattolica e marxista non sono culture nazionali, lo è quella massonica ma solo se l’Italia stringe legami con nazioni occidentali massoniche: GB e USA;
d) mancanza di materie prime: 45% del fabbisogno energetico italiano è coperto dal petrolio, 32% dal gas, entrambi quasi interamente importati dall’estero.
Diversità geografica italiana:
divisione in 3 parti: 1 continentale, a Nord delle Alpi fino a Rimini, 1 peninsulare, che si allunga nel Mediterraneo in direzione Nord-Ovest e Sud-Est, 1 insulare, che comprende isole e arcipelaghi sia sul versante tirrenico che adriatico: presso l’isola di Pantelleria si ha la minima distanza dell’Europa dall’Africa.
La catena appenninica è, inoltre, una scomoda barriera per i collegamenti Nord-Sud.
Il Mediterraneo è un Mare che rimane di fondamentale importanza anche per il controllo delle rotte marittime commerciali, che coprono più del 60% dell’import italiano.
Forze Armate: nel 2010 c’è stato un decremento dell’esercito italiano che si attesterà intorno alle 108.000 unità, mentre l’Arma dei Carabinieri diverrà la prima forza armata con 109.000 uomini.
Su un totale di 11 brigate operative: 6 sono state impiegate in missioni extracontinentali, 3 in contesti europei e solo 2 a presidio dei confini settentrionali.
Rapporti strategici italiani.
Italia-Turchia: l’Italia è il 5° partner commerciale della Turchia per esportazioni e il 4° per le importazioni (750 aziende italiane operano in Turchia, tra cui ENI, Edison, Ansaldo, Lucchini, Unicredit).
Nel 2007 i due paesi hanno firmato l’accordo di patnership strategica e quello di collaborazione scientifica e tecnologica.
Italia-Russia: Berlusconi continua sostanzialmente la politica di Prodi con gli accordi Eni-Gazprom, fino alla Dichiarazione di Mosca in cui si sbilancia un po’ sulla politica estera.
L’accordo Eni-Gazprom scadrà nel 2035, oltre a South Stream vi è il Blue Stream, che collega Russia e Turchia passando sotto il Mar Nero.
Nel 2008 gli scambi commerciali erano saliti a 53 miliardi di dollari, nel 2009 a causa della crisi globale si sono ridotti di circa il 30%.
Il 2011 è l’Anno della cultura e lingua russa in Italia e della cultura e lingua italiana in Russia, ricordiamoci ad es. del mito di Mosca “Terza Roma.”
L’Italia ha inoltre lodato la proposta russa per un Trattato di Sicurezza Europeo, visione che contrasta con quella della NATO quale gendarme mondiale militare.
Italia – Vicino e Medio Oriente: più del 50% dell’energia consumata dall’Italia proviene da 3 paesi: Russia, Algeria e Libia, l’80% del gas solo da Russia e Algeria (l’85% del gas che consumiamo è importato).
L’Italia ha, ovviamente, rapporti preferenziali con le sue ex colonie, Somalia, Libia ed Etiopia; atteggiamento storicamente equilibrato su questione palestinese (Dichiarazione di Venezia); rapporti con Iraq prima (BNL) e Iran oggi; problemi nel perseguire una politica energetica autonoma, vedi episodi di Mattei (Eni), Fanfani (minigollismo), Moro (Mossad), Craxi (Sigonella), Dini (Serbia, Iran e Libia), D’Alema (Libano).
Si vedano al proposito le interessanti interviste a Giovanni Armillotta e a Roberto Albicini.
Italia-Iran: nel 2004 le nostre esportazioni erano intorno ai 2,2 miliardi di euro, nel 2009 si sono fermate ai 1,5 miliardi, mentre l’interscambio globale ha subito una contrazione del 40%.
La SACE, ente preposto ad assicurare i nostri esportatori in paesi difficili, ha chiuso il rubinetto alle imprese italiane che vogliono investire in Iran e il sistema creditizio si comporta in modo analogo.
Italia-USA: problema dei rapporti risollevato da Wikileaks (vedi articolo di Scalea su sito “Eurasia”).
1) Dipendenza economica nata con Piano Marshall ma che si estende alle limitazioni nei settori dell’Aeronautica, della ricerca e del cinema;
2) Soft power USA: fondazioni, associazioni, club, programmi televisivi: un condizionamento culturale e linguistico che influisce sugli stili di vita italiani.
3) Condizionamento politico, coinvolgimento USA/NATO in tutto il periodo della strategia della tensione, maggiore paradossalmente dopo il crollo del Muro di Berlino (quando ci sarebbe stata maggiore libertà d’azione): Mani Pulite, speculazione di Soros (favorita da manovra di Ciampi), attacco alla lira durante primo Governo Berlusconi (1994), velate minacce a D’Alema (guerra a Jugoslavia nel 1999) e allo stesso Prodi, nuovo attacco a Berlusconi (ultimo es. Decreto Romani sembra sfavorire Sky, cablogramma di Thorne).
Come uscirne? Scossone esterno provocato da riassetto multipolare del mondo, politica eurasiatica dell’Italia con appoggio a piccoli tentativi di creazione di un esercito europeo indipendente dalla NATO (vedi proposta gen. Mini su economicità e qualità del progetto).
Problema Basi militari: le basi militari all’estero svolgono una funzione di supporto alle attività commerciali e produttive e costituiscono un elemento centrale nelle relazioni diplomatiche tra differenti paesi. Il loro utilizzo come sostegno ed assistenza alle rotte commerciali costituisce una delle caratteristiche della presenza militare all’estero degli Stati Uniti.
Il paese ospitato mantiene il paese ospitante all’interno della propria area di influenza, mentre la presenza di forze armate su un altro territorio può costituire una forma di pressione politica territoriale in grado di esercitare influenza nelle politiche interne del paese ospitante.
La presenza militare plasma i paesi riceventi, influenzandone cultura e società, ed alterandone anche il processo di democratizzazione.
Per quanto riguarda le infrastrutture, il principale accordo bilaterale tra Italia e Stati Uniti è l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture (BIA) del 1954. L’accordo venne preceduto da due accordi in materia di difesa nel 1950 e nel 1952 nonché da uno scambio di note del 1952. L’accordo venne firmato dal ministro degli esteri italiano (Giuseppe Pella) e dall’ambasciatrice statunitense in Italia (Clara Booth Luce), non venne mai sottoposto a ratifica parlamentare. Il fondamento giuridico di tale procedura viene fatto risalire alla “procedura semplificata”, un comportamento consuetudinario che prevede l’entrata in vigore di un atto non appena siglato da un rappresentante dell’esecutivo. Questa procedura, di norma utilizzata per accordi di natura tecnica, non si sarebbe potuta applicare anche all’accordo relativo alle installazioni militari. In virtù degli articoli 80 ed 87 della Costituzione, l’accordo circa le installazioni militari, rientrando tra gli accordi di natura politica e non essendo inquadrabile in fattispecie di natura finanziaria, costituisce un caso per il quale la procedura semplificata non potrebbe essere applicata. Il ricorso alla procedura semplificata nella risoluzione delle problematiche connesse alla installazione militare potrebbe configurare l’incostituzionalità dei procedimenti adottati; l’incostituzionalità degli accordi circa le basi militari statunitensi, anche nei casi in cui è stata sollevata, non ha tuttavia sortito conseguenze giuridiche nella validità degli accordi. La volontà politica di mantenere le relazioni con gli Stati Uniti in linea con quanto previsto nel 1954 e di celare alla popolazione italiana la conoscenza del contenuto degli accordi bilaterali prevarica la stessa costituzionalità dell’atto. La segretezza degli accordi con gli Stati Uniti del 1954 ed i successivi accordi, altrettanto segreti, circa le differenti installazioni si è estesa non solo ai contenuti degli accordi, ma alla loro stessa esistenza.
L’esistenza di un accordo con gli Stati Uniti in tema di basi militari venne infatti resa nota in occasione dei fatti del Cermis, quando l’allora presidente del consiglio D’Alema rese pubblica l’esistenza dei memorandum d’intesa con gli Stati Uniti. La segretezza degli accordi, motivata principalmente nel clima di contrapposizione caratteristico del momento della loro stipulazione, lascia tuttavia interrogativi legati principalmente alla necessità di mantenere ancora segreti i contenuti di un accordo risalente ad un’epoca distante, e alla necessità di secretare non solo le informazioni riguardanti i siti, giustificabili da esigenze di difesa, ma anche l’intero quadro delle relazioni. La norma, oltre che dal segreto militare, è coperta da un vincolo di segretezza bilaterale imposto al momento della stipulazione. Il trattato non può infatti essere reso pubblico autonomamente da nessuno dei due Paesi.
Nel 1959 l’Italia siglò con gli Stati Uniti un accordo che garantiva loro la possibilità di impiantare sul territorio italiano missili Jupiter dotati di una potenza nucleare superiore a quella delle bombe sganciate in Giappone. L’accordo, che generò tensioni con l’Unione Sovietica, non venne mai ratificato in parlamento e la sua sottoscrizione appare potesse essere ignota anche all’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. Attraverso questo accordo l’Italia utilizzava la possibilità atomica, esponendo i propri cittadini ad un potenziale attacco da parte sovietica, per rinsaldare le interrelazioni economiche con gli Stati Uniti e manifestare con decisione la propria volontà di aderire al patto atlantico.
Gli accordi stipulati dall’Italia con gli Stati Uniti non hanno subito, nel corso della loro evoluzione, una rinegoziazione, come nel caso degli accordi stipulati da Grecia, Turchia e Spagna, per i quali venne richiesta l’approvazione parlamentare e, conseguentemente, venne reso pubblico il contenuto.
La normativa circa la presenza di installazioni militari statunitensi in Italia è stata incrementata nel 1995 dallo Shell Agreement o “Memorandum d’intesa tra il ministero della difesa della Repubblica italiana ed il dipartimento della difesa degli Stati Uniti d’America, relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia”. Questo accordo, ugualmente entrato in vigore attraverso procedura semplificata ed inizialmente secretato, costituisce principalmente un documento di natura tecnica, attraverso il quale viene indicato lo schema necessario alla formulazione degli accordi relativi alle varie installazioni.
Gli ordigni presenti in Italia potrebbero essere difficilmente utilizzabili, stando ai giudizi di Hans M. Kristensen, ed il loro valore è soprattutto simbolico. La presenza di ordigni nucleari assume quindi un ruolo di deterrenza, nei confronti dei potenziali avversari, ma costituisce allo stesso tempo un elemento di pressione nei confronti del Paese ospitante.
Il tema della presenza di ordigni nucleari in territorio italiano, oltre alle problematiche connesse circa il loro significato in termini di relazioni internazionali e di accettazione da parte dell’opinione pubblica, suscita problematiche connesse alla legittimità della loro presenza. Stati Uniti ed Italia sono entrambi aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare. Il differente status dei due Paesi, in tema di ordigni nucleari li pone in situazioni differenti. Gli Stati Uniti, in quanto Stato detentore di ordigni nucleari è autorizzato a possederne, disporne la collocazione in altri Paesi, ma non a cederne ad altri Stati. L’Italia non può produrre né ricevere armi nucleari.
La presenza di ordigni nucleari in Italia, ed analogamente negli altri Paesi che non rientrano in quelli autorizzati a detenere armi nucleari ma nei cui territori gli Stati Uniti stanziano testate nucleari, porterebbe una violazione da parte di entrambi i Paesi del trattato di non proliferazione. La presenza di ordigni nucleari è dal punto di vista legislativo risolto con il sistema della “doppia chiave” per il quale gli Stati Uniti sono detentori degli ordigni e ne sono autorizzati all’utilizzo ma questo è permesso solo previo autorizzazione italiana, che di per sé non possiede testate nucleari. L’escamotage utilizzato per ovviare alle problematiche giuridiche, connesse alla presenza di testate nucleari, non incide tuttavia sui suoi effetti. L’aderenza al trattato di non proliferazione dovrebbe ricondurre non solo ad un aspetto legale, ma dovrebbe piuttosto essere rappresentativo di una scelta politica definita. La presenza di testate nucleari, la cui effettiva presenza non è mai stata dichiarata dai vertici istituzionali sia militari che civili, costituisce uno degli aspetti della presenza militare maggiormente osteggiati dall’opinione pubblica.
Gli effetti economici della presenza militare su un territorio sono in molti casi sopravvalutati. Le odierne basi militari, in particolar modo all’estero, sono costruite cercando di dare ai propri abitanti la disponibilità di beni e servizi anche di rango elevato. Le loro dotazioni non attengono esclusivamente alle attività per le quali vengono costruite, ma sono sviluppate anche al fine di migliorare la vivibilità da parte dei militari stanziati.
Accanto ad attrezzature belliche, è quindi sempre più frequente trovare anche luoghi di incontro e di divertimento, oltre alla disponibilità di negozi e servizi per l’istruzione; le interrelazioni con l’esterno da parte degli abitanti della base sono quindi notevolmente ridotte. Le basi militari tendono ad essere autosufficienti anche per quanto attiene all’approvvigionamento di beni necessari, spesso derivanti da un processo di distribuzione proprio del dipartimento della difesa.
Il contributo che la presenza di un’installazione militare in termini di incremento di consumi appare quindi essere considerato marginale rispetto alle attività che vengono svolte a favore dei residenti; ne discende che i benefici economici tendono ad essere limitati temporalmente al periodo di costruzione, spesso svolto da società appaltatrici del Paese ospitante, e spazialmente alle poche attività localizzate in prossimità della base.
La presenza di installazioni militari, o di servitù militari, può costituire anche un vincolo allo sviluppo economico di un territorio. Essa impedisce infatti lo sfruttamento delle zone in prossimità della base per finalità commerciali. La presenza di basi militari potrebbe inoltre rendere minore la possibilità di sfruttamento a fini turistici del territorio dove la base è impiantata, poiché potrebbero portare a decise modifiche del paesaggio, nonché alla presenza di fattori di disturbo, come ad esempio l’inquinamento sonoro, che potrebbero costituirne elemento deterrente.
L’ostacolo che la presenza militare potrebbe arrecare alla crescita economica di un territorio ha, nel caso italiano, manifestazione evidente nella Sardegna. La presenza di vincoli nell’utilizzo degli spazi a terra, con le relative implicazioni di natura turistica, e gli effetti sulla pesca e sulle varie attività nautiche di zone di sgombero a mare, che si estendono su una superficie maggiore di quella dell’isola stessa, vengono indicate come cause del mancato sviluppo di intere parti dell’isola, maggiormente evidenti nel caso de La Maddalena.
Le attività militari esercitano un’elevata pressione sul territorio nel quale vengono svolte, in particolar modo per quanto attiene all’utilizzo delle risorse naturali. Il loro consumo ed i danni operati all’ambiente emergono evidenti in occasione dei conflitti che, accanto alla perdita di vite umane, mostrano un deciso impatto sulle risorse naturali. L’impatto ambientale delle guerre, delle quali le immagini della prima guerra del Golfo costituiscono la rappresentazione più nota ed evocativa, hanno costituito oggetto di approfondite analisi. Inoltre le attività militari, nelle loro molteplici forme, provocano decise ripercussioni sull’ambiente anche in momenti di non conflittualità.
L’inquinamento dell’atmosfera e l’inquinamento acustico costituiscono le più evidenti manifestazioni delle conseguenze ambientali ma i principali effetti, in particolar modo a lungo termine, risiedono nella presenza di rifiuti tossici, contaminazioni chimiche e derivanti dall’utilizzo di oli e combustibili.
Come evidenziato da uno studio svolto su siti dimessi da parte del dipartimento difesa statunitense, gran parte dei siti manifestava questa problematica ed in molti casi più forme di inquinamento insistevano sullo stesso territorio.
L’utilizzo e la sperimentazione di materiali tossici, nucleari e radioattivi sono sottoposti a regolamentazioni internazionali; il loro utilizzo e la loro sperimentazione continua ad essere tuttavia diffuso e comune a molti Paesi. A partire dalla seconda guerra mondiale, utilizzo in attività belliche e sperimentazioni in fase di non conflittualità di materiali nucleari, tossici e biologici si sono susseguiti senza soluzione di continuità fino all’utilizzo dell’uranio impoverito nei conflitti in Iraq e nei Balcani.
Le conseguenze ambientali e per la salute dei cittadini non è legata esclusivamente all’utilizzo in conflitto. La presenza di alterazioni nello stato di cittadini prossimi a basi militari, in particolar modo poligoni, mostra la presenza di alterazioni ambientali anche a seguito dell’utilizzo delle basi e delle altre installazioni militari in fase di non conflittualità.
Un caso emblematico legato all’utilizzo di sostanze nucleari/chimiche/battereologiche, anche in fase di non conflittualità è rappresentato dalla Sardegna che costituisce, con i suoi 24.000 ettari di demanio militare, un territorio altamente militarizzato. Tra le varie installazioni presenti, una menzione tristemente particolare deve esser riservata al poligono di Quirra.
Da: Le basi militari degli Stati Uniti in Europa: posizionamento strategico, percorso localizzativo e impatto territoriale, di Daniele Paragano
Problema ricerca e settori strategici: dopo il 1945, con una certa gradualità imposta dalla discrezione, sono scomparsi interi settori industriali strategici: aeronautica civile e militare, cantieristica navale militare, costruzione di artiglierie fisse e semoventi, industria elettronica e informatica, industria aerospaziale, missilistica, estrazione del petrolio all’estero e anche in patria (Mattei fu addirittura ucciso per ridimensionare l’Agip). Ciò era allo scopo di far importare all’Italia quei prodotti dagli USA, è evidente. Nel contempo l’Italia era invasa di prodotti “culturali“ USA, come musica, libri e film, contro i quali non veniva posta alcuna restrizione.
Clamoroso il caso della cinematografia, dove il neorealismo italiano – un filone troppo di successo anche nel mondo, dove faceva ombra a Hollywood – fu soffocato nel giro di pochi anni privandolo dei crediti cinematografici perché “il genere non andava più“. Sistemi analoghi venivano usati anche nel settore industriale: il Personal computer fu inventato dall’ing. Perotto della Olivetti, che lo brevettò, ma in breve tempo guarda caso il brevetto finì alla IBM. La ricerca scientifica italiana fu di fatto proibita: fingendo incapacità e dabbenaggine della classe politica e sciocco baronismo della classe universitaria si evitò sempre accuratamente di renderla agibile in Italia, allo scopo di indirizzare i ricercatori italiani all’estero e nell’ambito in grande maggioranza, naturalmente, negli USA. Attualmente ogni anno circa 10.000 giovani ricercatori italiani vanno a lavorare all’estero, direi negli USA, dove seminano i benefici industriali derivanti dalle loro scoperte, brevetti, invenzioni. E se qualche dirigente italiano si oppone a questa direttiva, a questa politica o, se si preferisce, a questi ordini americani, viene durissimamente punito, e vedasi certamente il caso dell’ex presidente del CNR Felice Ippolito. Nel 1995 nel suo libro “La grande scacchiera“ lo ha addirittura ammesso Zbigniew Brezinski, l’eminenza grigia del regime USA. Il flusso di migliaia di ricercatori invece è proprio l’equivalente degli ostaggi della miglior gioventù che nell’antichità i vincitori pretendevano dai vinti. Tutto ciò per l’Italia ha comportato e comporta la perdita di centinaia di migliaia, forse di milioni di posti di lavoro, e ha comportato certamente la compressione del salario di quelli rimasti occupati.